lunedì 4 luglio 2011

L'andata è il ritorno.

Di solito mi accade quando sono in macchina e non sto facendo nulla di particolarmente impegnativo. Che ne so, per esempio sto semplicemente tornando a casa. Oppure sono uscito per qualche faccenda che avrei potuto tranquillamente ignorare. Comunque sia, quel che è certo è che in queste serate - perché di solito tutto questo capita poco prima che faccia buio - l'unica cosa che desidero è rimanere in giro e vagare senza meta. Possibilmente con la musica giusta nello stereo dell'auto. E nel cuore.

Saranno forse i colori del cielo, ossia quel rossastro tendente all'arancione che offusca l'azzurro, preludio di un nero imminente, ma ancora troppo tenue per poter dominare la scena. Come un acquerello che piano piano scende dalla punta della cupola celeste e si diffonde sui lati con la velocità di una colata d'olio. O forse è l'aria che, satolla dei raggi solari del giorno, libera il calore che ha imprigionato e lo scaglia contro il fresco della notte, creando una miscela climatica perfetta. E dall'odore unico. Mettiamoci pure il profumo, allora. Per esempio, quello dell'estate alle porte. Inconfondibile, lo si avverte a primavera inoltrata. Tutti sappiamo cos'è, qual è il suo significato. Ma non sapremmo descriverne con esattezza la fragranza. E' un'essenza che Qualcuno, lassù, ogni tanto si lascia sfuggire, quando ancora è troppo presto. Perché non resiste alla sua bellezza ed alla sua purezza e, di nascosto, apre la boccetta che la contiene, per respirarla un attimo. E il profumo si diffonde subito, incontrollabile. Giusto il tempo di inebriarci, dopo di che quel Qualcuno richiude in fretta e furia la boccetta e promette a se stesso che non la aprirà più, se non a tempo debito. Ma sa già che non sarà così.

Saranno allora tutti questi fattori, ma sta di fatto che, in queste serate, io non ho mai voglia di tornare. A casa o ovunque mi stiano aspettando. Desidero solo sentire quello che c'è intorno a me. I rumori della città diventano una musica, seppur chiassosa, che lentamente, a sua volta, assume i connotati di una melodia che incanta, soprattutto se, senza accorgermene, mi sto dirigendo verso la periferia, magari verso il mare. Il paesaggio cambia, tutto si modella secondo le mie esigenze. Anche l'arcobaleno, che ha appena fatto capolino nel cielo sebbene non abbia piovuto, si capovolge e diventa un sorriso. Mi sembra di essere all'interno di una scatola magica, sospeso in un limbo in cui tutto si ferma. E gli unici a muoversi sono i pensieri. Che però vanno ad una velocità diversa dal solito, più armoniosa. E hanno il passo leggero, silenzioso, poiché rispettano quel momento assurdo. Che, a ben guardare, tanto assurdo non è.

L'assurdità, in fondo, non esiste: è solo frutto di una mente che ha deciso di spiegarsi le cose senza l'ausilio dell'immaginazione. Che a sua volta è figlia dell'ispirazione. Senza ispirazione, infatti, sapremmo dire con facilità in quale parte del corpo si trova l'anima: al centro, tra i polmoni, nella parte concava della gabbia toracica. E questo perché l'anima sarebbe vuota. E basterebbe bussare con le nocche per sentirne il rimbombo e individuarla. Senza dover ricorrere all'immaginazione per farlo. E invece io immagino. E uso le nocche solo per dare un colpo intorno a me. Per capire se sto sognando.

Solo così il ritorno diventa un'andata. Ed ecco perché, in questi giorni, non voglio tornare. La verità, però, è che non posso.

I colori, l'aria, l'odore. E la mente. E i sensi al loro servizio. Schiavi che, per una volta, amano il loro padrone.

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