mercoledì 27 luglio 2011

Il futuro.

C'è chi si chiede quale sarà il proprio futuro. Io, invece, mi domando cosa sia il futuro. Anche perché, se ci fate caso, il solo fatto di pensare al futuro rappresenta una contraddizione in termini. Il verbo "pensare", infatti, si modella sul passato, su qualcosa di cui, in un modo o nell'altro, si ha una certa cognizione, magari incompleta, ma dai contorni abbastanza netti. E dunque la si può pensare. Invece, il futuro è per definizione un'incognita e non si può pensare ad un'incognita, al massimo ci si può impegnare a risolverla, a darle un valore, una forma, un significato. E perché no, trasformarla in certezza. Ma a quel punto non è più futuro, perché, senza rendersene conto, mentre si cerca di venir fuori da quell'equazione apparentemente irrisolvibile, ci si ritrova catapultati nel presente.

E perciò al futuro non si può pensare, giacché vorrebbe dire essere come minimo veggenti. Io ritengo che, invece, il futuro lo si possa solo immaginare. Come se avessimo in mano i pezzi angolari di un puzzle e dovessimo costruire e poi incastrare i restanti pezzi centrali solo con la nostra abilità di inventori del domani.

Oppure si può immaginare il futuro guardando l'orizzonte attraverso un bicchiere d'acqua, per giocare a capire quale sia il suo aspetto, sfruttando i suggerimenti delle nuvole che, spostate e sovrapposte dal vento, assumono le forme più disparate. Che avranno un nome diverso a seconda se quel bicchiere lo si intenda mezzo pieno o mezzo vuoto.

Sul muro di fronte alla mia scrivania ho attaccato, senza un ordine preciso, alcuni ritagli di giornale che contengono frasi riguardanti il futuro. Non so perché l'ho fatto. Le ho lette la prima volta e, ancor prima di capirle, già pensavo a fissarle in un punto che mi fornisse la possibilità di tenerle sempre d'occhio. Di sbirciarle quando ne avrei avuto voglia o bisogno. Per ricordarmi non tanto dove andrò, quanto piuttosto come ci arriverò.

Il futuro fa paura, perché fa paura prendere una decisione che cominci a dare una forma a quel futuro. Credo, però, che questo sia un modo sbagliato di approcciare il problema. E' chiaro che non basta girare il calendario prima del tempo o portare avanti l'orologio all'improvviso, non è sufficiente posticipare una sveglia che è suonata troppo presto o sfogliare il libro che si sta leggendo o studiando per vedere quante pagine mancano. E men che meno, come dice il proverbio, è corretto rimandare a domani quello che si potrebbe fare oggi. Questi sono tutti escamotages, illusioni di futuro che servono solo a farsi del male. Tentativi maldestri di correre più veloce del tempo, credendo di andare dritto mentre invece si sta correndo in verticale, affondando nelle sabbie mobili di una tragicommedia di cui si è regista, sceneggiatore e interprete principale.

In realtà, chi prende una decisione importante, senza aver paura di pensare e poi attuare tale decisione, dissipando gli inevitabili dubbi a essa connessi in una chiacchierata con un amico o nel fumo di una sigaretta, il futuro non l'ha ancora superato.

Senza accorgersene, però, gli sta correndo accanto.

Il futuro è nelle mani di chi ha il coraggio e la fortuna di modellare la propria vita a immagine e somiglianza del proprio destino.

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