giovedì 28 luglio 2011

Confuso.

Sono confuso. Lo sono sempre stato, in realtà. Solo che adesso me ne rendo davvero conto. Prima, infatti, pur non facendoci caso, quando gli altri me lo facevano notare, un pò ci rimanevo male, tant'è che finivo per autoaccusarmi di un'immaturità che, a ben pensarci, per l'età che avevo, era già di suo un gesto di precoce maturità. Adesso, invece, il fatto di essere confuso mi piace da morire. E' una sensazione strana, un pò come quando, per intenderci, sei davanti ad un tris di primi e non sai da dove cominciare. L'enormità del tutto, o per lo meno del tutto ciò che è disponibile, rende incapaci di pensare, imbambolando chiunque sull'orlo del pentolone delle possibilità.

E sebbene la confusione sia decisamente la situazione meno indicata per sentirsi sicuri del domani, io, invece, ravviso in essa una sorta di pacifica pienezza che mi tranquillizza, essendo tutte le carte ancora nel mazzo e tutti i giocatori ancora fermi al proprio posto con lo stesso numero di fiches. Ecco, la confusione, pur rendendomi ancora più cervellotico, mi appaga al tempo stesso. Anzi, mi spinge a provare nuove esperienze e a cercare altre vie, per poi percorrerle e, eventualmente, tornare indietro. Sento il bisogno di mettermi in gioco, di sedermi a quel tavolo e scambiare un pò di fiches pure io. Forte della certezza di non avere certezze.

E'assurdo tutto questo. Poi, per uno come me che pianifica ogni minima cosa, è addirittura preoccupante. Però, con molta onestà, mi sono riscoperto incapace di pianificare le grandi cose. Sono uno sputo nel mondo, non posso pretendere di ordinare anche il mio futuro. Perciò, lo voglio sfruttare così com'è, ossia disordinato, caotico, nebuloso e, appunto, confuso. Come me. Che non so giocare a carte.

E quindi, un passo alla volta. Una esperienza alla volta. Una carta alla volta. Subendo, porgendo l'altra guancia, ma poi reagendo quando le guance sono finite. Sbattendo contro muri reali e immaginari e, a volte, trovando un modo per scavalcarli. Zoppicando con lo zoppo o correndo per surclassarlo. Con l'indice e il medio alzati come simbolo di vittoria, oppure in gola per vomitare. Amando chi voglio amare e odiando chi me lo impedisce. Tuffandomi nel vuoto e, durante la discesa verso l'ignoto, non pensando a quello che potrà esserci sott'acqua ma a come asciugarmi una volta uscito.

E poi mi potrò sedere sul bordo di quell'enorme specchio d'acqua, con i piedi penzoloni, ridendo di ciò che prima temevo, e mi metterò a pescare. E sono sicuro che, pur non avendo mai pescato in vita mia, la preda abboccherà subito. Con un ultimo strattone, sia fisico che mentale, mi renderò infatti conto di aver appena tirato a riva proprio quella carta con cui vincerò la partita. E io, col frutto della mia vincita in mano, salutando i miei compagni di viaggio, mi alzerò da quel tavolo da gioco. E siederò in quello successivo.

Questa volta, però, prenderò posto accanto alla confusione. Così le potrò guardare le carte.

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