giovedì 30 giugno 2011

Una storia (d'amore) semplice.

Quando capì che sarebbe stata lei la donna cui avrebbe dedicato il resto della propria vita, per un attimo ebbe uno sbandamento. Di meraviglia, perché troppe coincidenze l'avevano messa sulla sua strada. E, pur non credendo nel destino, lo ringraziò di cuore.

Le dedicò poesie e ogni singola parte del proprio corpo, fino agli occhi, che finirono per non vedere più nessun'altra.
Passarono le giornate e i loro incontri si fecero sempre più frequenti. Niente di trascendentale, ma a lui bastava la sua compagnia per essere felice. E che lei lo fosse anche. Una felicità riflessa, si potrebbe dire. Un sorriso (di lei) allo specchio (di lui). E immaginava che qualcosa sarebbe accaduta, prima o poi.

Quando i suoi occhi incrociavano quelli di lei - del colore dell'ambra di giorno e di tizzoni ardenti di notte - gli tornavano in mente, come attraverso uno schermo magico, alcuni episodi dell'infanzia. Come quando, ad esempio, davanti ad un passaggio a livello chiuso, sedeva sul seggiolino della bicicletta di suo padre e insieme aspettavano che passasse il treno, giocando ad indovinare da quale parte sarebbe arrivato. Oppure i rumori della cucina dopo pranzo, quando sua madre sparecchiava e lavava i piatti, che gli conciliavano il sonnellino obbligatorio del pomeriggio. Era, insomma, come respirare nel presente un profumo di vita passata, che, suscitandogli le sensazioni dei ricordi più belli, colorava ogni sua aspettativa per il futuro.
E perciò tutto continuava così. Piccoli gesti per enormi emozioni. Una catena di sentimenti che si spezzava per il fremito di libertà che lei emanava con ogni suo gesto.

Finché un giorno decise che era giunto il momento di passare un pò di tempo da solo con lei. E la invitò in un dato luogo ad una certa ora. Non c'era bisogno di mettersi in ghingheri. Si era convinto che bastasse se stesso. In fondo, era tutto già scritto e poi avevano capito, entrambi, quel che volevano veramente l'uno dall'altra. Portò con sè, però, un girasole. Cosicché il sole si distraesse col fiore e lasciasse solo allo sguardo di lui l'esclusiva del viso di lei.
Lei non si presentò. Nè quel giorno, né quello successivo, né quello dopo ancora. Lui però, col suo girasole in mano che appassiva piano piano, ogni giorno alla stessa ora era lì, in attesa di lei. Che non si fece viva, per giorni e giorni ancora.

Ma una bella mattina d'estate, diversamente da come accade di solito in queste storie di lunghe attese, amori impossibili e cuori spezzati, lei arrivò. Ma non era da sola. Era abbracciata a un uomo che sembrava le volesse bene. Lei rideva di cuore e, soprattutto, era felice. Autenticamente e spontaneamente felice.
Lui se ne accorse subito. E provò di nuovo quella felicità riflessa che aveva provato tante altre volte, in passato. Un calore che non gli fece sentire affatto la stanchezza e la malinconia di quei giorni tutti uguali. Quel brivido che solo lei era capace di trasmettergli. Portatrice di una bellezza assoluta che regalava gioia a chi le stava intorno. E capì che non c'era davvero niente di più importante che vederla sorridere. Allora, si alzò dalla panchina che fino a quel momento lo aveva ospitato, prese il girasole che ancora teneva con sè e lo gettò via.

Mentre se ne andava, decise di voltarsi un'ultima volta a guardarla e fu proprio in quel momento che un raggio di sole, che non era più distratto dal fiore, le illuminò il viso. Fu quella l'ultima fotografia di lei che i suoi occhi scattarono e che la sua mente, senza saperlo, avrebbe conservato per sempre.
Si girò di nuovo nella direzione opposta e sorridendo andò via.

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