venerdì 29 aprile 2011

Sui libri.

Non sono un lettore accanito. O meglio, sono uno che va a periodi, ossia sono molto discontinuo. Capita che mi trascino dietro un libro per settimane e spesso neanche lo termino. Altre volte, invece, divoro tre, quattro libri uno dopo l’altro senza accorgermene quasi. Non so perché, forse dipende dal carattere. O forse dai momenti. O da entrambi. Quel che è certo, secondo me, è che per leggere un libro bisogna avere la mente libera (o almeno in parte). Bisogna essere in grado di poter ricevere tutto quello che un libro vuole trasmetterti, insegnarti, suggerirti. Fare di un libro un semplice strumento di evasione credo sia molto riduttivo. Per te e per lui.

Mi piacciono molto le librerie, però quelle con pochi scaffali alle pareti e coi libri sparsi in mezzo alla gente. E’ bello incrociare lo sguardo con copertine esotiche, titoli curiosi, scrittori e scrittrici di ogni sorta, grossi manuali, piccoli vademecum, famosi best-seller, monumentali raccolte, tutti sistemati qua e là, ancor meglio senza un ordine preciso. Mi piace soprattutto pensare ai miliardi di parole che in quel momento mi stanno circondando e che bramano di venire alla luce, frementi e vogliose. Intere pile di libri tremano, sono vulcani pronti ad eruttare lava d’inchiostro e carta. Penso anche al fatto che tutte queste parole sono sgorgate dalle menti di esseri umani per andare incontro al loro destino di diventare frasi, periodi, capitoli, proprio lì, in quel libro e in quel determinato momento. Credo che ci sia qualcosa di magico in tutto questo. Specialmente perché, se ci pensate bene, quando abbiamo imparato a scrivere, in fondo abbiamo imparato solo a dare una forma ai nostri pensieri, per fissarli da qualche parte e soprattutto per non dimenticare. Ma come formare un pensiero, trasformarlo in un pugno di parole e tirarlo fuori al momento giusto, beh, questo non ce l’ha insegnato nessuno. Ce l’abbiamo dentro. Come quando da piccoli davamo una voce ai nostri giocattoli preferiti, anche quando ancora non sapevamo parlare.

Spesso regalo dei libri. Magari non sono colorati e profumati come un mazzo di fiori o comodi come magliette. Ma non appassiscono e sono sempre della misura giusta. Io credo che si può capire una persona anche dai libri che legge. Ma non per il genere di libro, bensì per le sensazioni che ricava da quella lettura. Parlare di libri con qualcuno vuol dire scambiarsi sensazioni. Un libro non è bello o brutto. È un libro e basta. È come uno di quei disegni da colorare. Ci sono le forme, più o meno complicate, e un immagine ben definita. Il colore è il tocco di grazia, il degno completamento. E questo tocco finale non spetta all’artista, ma al lettore. Se lo facesse l’artista ovviamente colorerebbe il tutto con tinte forti e allegre. È normale, il libro l’ha scritto lui. Ecco perché la tavolozza è in mano al lettore. Ed ecco perché un libro di fumetti potrà essere colorato di grigio e un libro di filosofia di turchese. Il rapporto con il libro è un rapporto personalissimo. I colori sulla tavolozza, infatti, li scegliamo noi di volta in volta.

Prima di dormire cerco sempre di leggere qualcosa. Così nel sonno, durante la notte, sogno e non rimango solo. Per questo avere un libro accanto al letto mi rassicura. E mi fa compagnia. Per chi come me ha bisogno di poter sempre contare su qualcuno. O su qualcosa.

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