lunedì 5 dicembre 2011

Il gatto dei miei stivali (parte II).

Dunque, dicevo che i padroni del felino di feltro sono una coppia, due ragazzi, che per un po’, agli inizi, non si vedevano spesso. Anzi, a dirla tutta, ogni tanto sparivano per alcuni giorni, per poi ricomparire magicamente la settimana successiva, assieme al gatto, naturalmente. Forse era proprio questa saltuarietà ad avermelo reso simpatico, le prime volte, presenza animale in un mondo di cemento, troppo freddo d’inverno e afoso d’estate, nel quale ogni movimento è accolto con gioia, figurarsi quello di un essere vivente, che non parla soprattutto, merce rara di questi tempi.

A poco a poco, però, la coppia è tornata ad abitare la casa sempre più stabilmente, esponendosi con costanza ai miei avvistamenti da paparazzo di quartiere e costringendomi ad abbandonare definitivamente l’idea di avere involontariamente beccato gli alter ego di Diabolik ed Eva Kant. Il Signor G, dunque, di sicuro più facilmente individuabile rispetto all’omonimo Punto, ha avuto tutto il tempo di costruirsi il piedistallo dal quale mi osserva ottuso e di colonizzarlo con la sua mole invadente, diventando, in definitiva, il mio vicino di casa a tutti gli effetti. E il mio nemico, in una guerra psicologica dagli esiti forse scontati.

E dire che una volta credetti pure di essermelo tolto di torno. Una sera d’estate, bella solo nelle canzonette ma, nei fatti, solitamente accostata dagli studenti a interminabili giornate di studio sudato, rincasavo baldanzoso e allegro, conscio di non aver buttato al vento, pressoché inesistente (era giugno, che assomigliava all’agosto nel Kalahari), il mio programma giornaliero di ripetizione.

Alzando la serranda della cucina, posta a fianco di quella della mia stanza e perciò dalla vista sostanzialmente identica, mi resi conto che Diabolik ed Eva non erano ancora tornati. Tutto buio e niente gatto. Solo una luce, che si muoveva lenta, sospesa nel vuoto di una delle stanze di quell’appartamento: un microonde, collocato sul frigo, con qualcosa dentro. Il gatto, pensai, osservando quella scena oggettivamente inquietante. Finalmente se ne sono liberati o forse lui, nella sua infinita stupidità, si è cacciato là dentro chissà come e adesso finirà cotto a puntino, senza che Eva lo possa salvare. Mentre pensavo speranzoso a tutto ciò, ecco che il micio fa capolino alla fatidica finestra, un po’ rintontito per le ovvie botte al muro prese in una casa buia, ma adesso ben saldo sulla sua plancia di comando.

Quella volta mi sorrise, ne sono sicuro. Anzi, sogghignò, godendo della mia delusione e leccandosi i baffi per l’ennesima vittoria ottenuta ai miei danni. O, forse, per il pollo che già da un po’ girava lento nel microonde.

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