lunedì 5 dicembre 2011

Il gatto dei miei stivali (parte I).

Quel maledetto gatto mi sta guardando. Come ogni mattina. Appollaiato sul davanzale della finestra di fronte, bianco candido non certo per meriti propri, inutile soprammobile deambulante, fissa i suoi occhi gialli nei miei. Mi osserva sornione, credendosi onnipotente, padrone incontrastato di casa sua, un re che regna su un appartamento vuoto, sovrano del nulla. Sicuramente tutti si prostrano ai suoi piedi, lo accarezzano magari, vantando i padroni per la cura di un pelo che sarebbe irto e sporco come il suo animo, se non fosse per quelle mani caritatevoli che ogni tot a settimana lo ripuliscono di tutto punto, come si fa con l’argenteria. E quando qualche ospite gli calpesta la coda, gli chiede subito scusa, come se lui capisse.

Io odio i gatti, questo si era capito. Nei loro confronti, applico quel vademecum della quotidianità che è dato dai luoghi comuni, e perciò sostengo che puzzano, e pure tanto. E odio ancor di più lui, quel gatto vicino di casa, che farei volentieri a meno di guardare, se non fosse che la finestra della mia stanza è posta inesorabilmente di fronte alla sua. Devo per forza alzare la serranda, appena mi alzo, quantomeno per far entrare un po’ di luce da fuori. Non che i risultati siano eccelsi, dal momento che io abito al piano terra (come il gatto) e la mia razione di sole arriva all’incirca verso mezzogiorno, barlume di allegro colore che fa sorridere le mura della mia camera, gialline per l’avarizia della padrona di casa che, per ridipingerle, non sembra si sia rivolta propriamente a un pittore professionista. E dunque, ecco il destino beffardo: io devo spalancare la finestra della mia stanza e non posso sottrarmi alla vista del bianco felino, il quale, facendolo certamente apposta, ogni santo dì si piazza su quel davanzale. E mi fissa. E non si muove, quel grasso pallone peloso latteo.

Inizialmente mi piaceva pure, la verità. Nelle prime settimane di permanenza nella nuova città, cercavo di prendere confidenza con la realtà con la quale avrei fatto i conti per un po’. E dunque, naturalmente, ho iniziato tracciando i confini sicuri del mio palazzo e del mio isolato. Questa operazione non poteva prescindere dall’osservazione dei miei vicini di casa. Per me, i vicini di casa non sono coloro che condividono il pianerottolo, ma tutti quelli che circondano l’edificio in cui abito, come una sorta di esercito che cinge d’assedio la cittadella fortificata del mio condominio. In effetti, ora che ci penso, questa metafora guerresca si adatta bene alle realtà condominiali.

Comunque sia, sfruttando ciò che la mia accogliente torretta d’avvistamento, arredata con mobili rigorosamente Ikea, mi permetteva di vedere, ho potuto soffermare la mia attenzione sul corrispondente piano terra del palazzo accanto. Sì, perché, come in tutte le grandi città che si rispettano, è difficile che una casa in affitto per studenti goda di una vista incantevole. E dunque, anche la mia, per non essere da meno, si affaccia su un palazzone di sei piani, dal quale è separata per mezzo di un piccolo viottolo, nel quale si affollano le macchine dei fortunati condomini che si sono assicurati il posto auto, con un’estrazione molto più attesa e ansiogena di quella della Lotteria Italia.

Per intenderci, solo dopo un anno ho appreso che il vicino di pianerottolo, molto più “vicino” della coppia col gattaccio del palazzo accanto, è un qualche militare in carriera, o forse un pilota d’aerei. Ecco, insomma, ancora non conosco chi calpesta la mia stessa parte di corridoio dell’androne, chi apre la propria porta di casa a pochi metri dalla mia, chi potrebbe bussare alla mia porta, un giorno, come nei film, per chiedermi un po’ di sale, per poi attaccarmi un bottone pazzesco sui rincari del riscaldamento. Che poi, se ci penso, il sale è la prima cosa che una persona acquista per riempire la dispensa di casa, assieme alla pasta, allo zucchero e al caffè. Anche il pilota di astronavi avrà fatto così, e perciò nessuna scusa per importunarmi. Meglio così.

Nessun commento:

Posta un commento