giovedì 15 settembre 2011

Ho preso una valigia.

Ho preso una valigia. E ho iniziato riempirla.

Ho messo innanzitutto una treccia di capelli dorati come spighe di grano, che casca sulla spalla e sul petto dal lato del cuore, come quella di una bambina che ti osserva con lo sguardo di chi, nonostante i rimproveri, non ha mai smesso di giocare.

Poi ho messo un paio di occhi, con iridi azzurri come il cielo o verdi come erba appena tagliata, che cambiano colore a seconda dei giorni o del caso, fatti per circondare una pupilla a forma di raggi solari, un girasole in primo piano, visto dal basso in alto, che si staglia bellissimo verso quel cielo o verso quel prato.

Ho proseguito con un paio di labbra morbide, che sanno di cioccolato al latte e formano il contorno di sorrisi accesi o espressioni incantate di chi ha ancora la capacità di meravigliarsi.

Ho sistemato con cura due guance che arrossiscono al primo sole d'estate o alla prima occasione in cui mostrare con orgoglio la propria timidezza. E un naso perfetto, che dà a quel profilo il tocco di grazia, silhouette in controluce che rende quel viso inconfondibile.

Ho messo mani affusolate, che sanno spegnere incendi senza acqua, ma con una semplice carezza. E braccia che regalano abbracci improvvisi e spontanei, come fiori cresciuti tra i gradini di una chiesa. E gambe che, attraverso i piedi, si muovono sinuose e vitali, femmine vanitose che si accavallano sensuali, quasi per scherzo.

Ho continuato con un corpo candido come la neve, formoso come le onde del mare, piccolo come una conchiglia stretta in una mano, soffice come le nuvole, profumato come foglie di limone, caldo come una brioche appena sfornata.

Infine, ho messo un piccolo scrigno di legno e ti ho detto che dentro ci avrei custodito il tempo. E che tu, una volta aperta la scatola, non avresti potuto afferrarne il contenuto con le mani. Per il semplice fatto che lo scrigno sarebbe stato vuoto. Perché il tempo, in fondo, non esiste.

Ho preso una valigia. E ci ho messo te.

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