sabato 8 ottobre 2011

Tasche.

Tempo fa ho ritrovato in un cassetto un foglio di carta tutto spiegazzato. Su di esso c'era un disegno che avevo fatto da piccolo, che raffigurava due bambini in piedi uno accanto all'altro, io e mio fratello. Sì, ricordo che quella volta avevo deciso di ritrarre noi due, immutati compagni di banco della scuola della vita. Forse, proprio l'insolito soggetto del disegno (è difficile che un bambino ritragga se stesso e il fratello, in una fase dell'età in cui l'unico contatto che si ha tra fratelli è quello dei giochi o dei litigi) ha spinto i miei genitori a conservarlo. Magari non a metterlo in bella mostra in qualche cornice, data l'oggettiva bruttezza dell'opera e considerato il motivo unicamente affettivo alla base di questa scelta d'archivio. Perché gli affetti si tengono per sè, senza che occorra sbandierarli ai quattro venti.

Pur passando per uno discretamente bravo nel disegno, quella volta non ottenni un gran risultato, sebbene però, in verità, i miei unici capolavori presunti fossero per lo più l'immeritato frutto di pazienti ricalchi di celebri personaggi dei fumetti. Nel disegno in questione erano infatti ritratti due bambini, uno più alto dell'altro (e quello alto ero io, prova che, quantomeno in passato, il rapporto età/altezza tra me e mio fratello era direttamente proporzionale), con le braccia forse un pò troppo lunghe, magliette a tinta unita colorate non benissimo e pantaloni lunghi, con scarpe che tradivano un'eccessiva rotondità dei piedi e la probabile assenza di dita, data l'evidente difficoltà, che si riscontra per vero nelle matite di tutte le età, di disegnare correttamente e alla giusta distanza le dita dei piedi, come quelle delle mani.

Ma quello che mi colpì particolarmente, tenendo in mano quella reliquia dei tempi che furono, come un giovane archeologo che scopre un reperto inaspettatamente, è stato l'incredibile numero di tasche che avevo disegnato addosso ai due personaggi. Proprio così: tasche. Tasconi sui pantaloni, su entrambe le gambe, dalla vita alle caviglie, e sulle magliette, messe alla rinfusa, persino sulle maniche e sulle spalle.

Ricordo vagamente che per un periodo ebbi la passione delle tasche, ma non ricordavo che fosse così morbosa. Mi piaceva conservare tutto, cose, sguardi, emozioni, catalogarlo anche addosso a me, essere una biblioteca di ricordi ambulante, anzi deambulante. E penso che, forse, non ero poi così pazzo. In fondo, è da bambini che si riesce ad apprezzare davvero tutto, a fare di ogni momento vissuto, di ogni cosa toccata, un pezzetto di esperienza, minuscole fette di sapere per nutrire la vorace fame della curiosità, che divora miliardi di piccoli esseri umani in questo mondo, ogni giorno. Ed è quasi naturale che si tenda a voler conservare tutto questo, per paura che un domani esso sparisca, lasciandoci apparentemente soli e indifesi e, forse, definitivamente adulti.

Per questo, secondo me, servivano molte tasche. Non come adesso, che i miei vestiti sono perfettamente lisci e aderenti al corpo, e hanno piccole tasche, più per moda che utilità, dove per miracolo entra il portafoglio. Che ha molte tasche, è vero, ripiene dell'unica cosa che crediamo erroneamente sia davvero importante collezionare, chiudendo i ricordi nei cassetti della memoria e i sogni negli armadi delle stanze da letto. E voltandoci dall'altro lato ogni qual volta accade qualcosa al di fuori dei nostri schemi quotidiani.

E invece dovremmo avere ancora la voglia di conservare quello che ci capita ogni giorno. Come se raccogliessimo petali di esistenza per costruire un fiore completo, con l'umiltà di chi i fiori non va a comprarli direttamente dal fioraio, ma aspetta che crescano sul proprio giardino, se e quando la natura lo vorrà. Oppure, come tanti mattoncini che servono a costruire la torre dei desideri, che tutti sogniamo, ma che troppo presto rinunciamo a progettare, arrendendoci a quella che noi chiamiamo evidenza, senza sapere di aver appena dato un nome altisonante a un'invenzione già brevettata da altri, ossia il nulla.

Ho pensato a tutto questo quando ho rivisto quel disegno.

Poi, l'ho messo in tasca.

1 commento:

  1. Bello, bello, bello. I ricordi sono una cosa preziosa....che brutto diventare adulti, piano piano essi sbiadiscono fino quasi a essere un miraggio, qualcosa di remoto e lontanissimo. Vorrei non crescere mai per non scordare

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