mercoledì 29 febbraio 2012

Non saprei dargli un titolo.

Ho fra le mani il mio futuro. Più chiaro di così. Un motivo in più per dire che colui che ha molte domande alla fine avrà tutte le risposte che cercava. E che a volte coincidono con quelle che sperava. E quando le domande sono lucide, come il vetro di una finestra appena lavato, ecco che quello che c'è fuori si vede con una chiarezza che davvero sembra tutto finto.

Sebbene nulla sia certo nella vita, tranne la morte, che però non è vita e perciò non conta, a volte capita di sapere già tutto prima di tutti, all'improvviso, come un dono innato che ci ha fatto qualcuno, o che abbiamo trovato a terra, e che di solito era proprio davanti agli occhi, ma non ce ne siamo accorti per tanto tempo, tanto era vicino.

Potrebbe non piacere. Oppure essere qualcosa che va davvero oltre ogni aspettativa. Dipende dal carattere di ciascuno, o da dove getta lo sguardo quando si affaccia da un balcone sul mare. Il fatto di guardare per prima cosa la spiaggia sotto o l'orizzonte dello stesso colore del cielo di fronte è decisivo e dirimente, anche se non sembra.

E insomma, pare che alla fine ognuno, anche solo per un istante, riuscirà a vedere il proprio futuro o a scorgerne i contorni. O comunque ad averne coscienza, ad avvertirne anche solo la presenza o a sentirne l'odore.

Io so, ad esempio, che sarò con te, ovunque sarò e qualunque cosa farò, ma con te. E avrà il colore dell'arcobaleno, l'immagine dei tuoi occhi e del tuo sorriso e il profumo di pane appena sfornato e rose non ancora appassite.

giovedì 9 febbraio 2012

Immaginate.

Immaginate, per un attimo, che tutto intorno a voi si fermi e si condensi in un'atmosfera ovattata e silenziosa di eccezionale intensità. Una sorta di estasi stradale, di domenica ecologica del caos, di nirvana dei martelli pneumatici. Come se tutte le voci fossero narcotizzate, incapaci di venir fuori con la solita regolarità; come se i corpi degli uomini si bloccassero, dopo aver succhiato l'ultima goccia di carburante divino; come se tutte le cose meccaniche o elettriche che normalmente schiamazzano nei dintorni si assopissero, in un sonno improvviso e senza spiegazione.

Non esisterebbero più i concetti di velocità, urla, movimento, che diventerebbero solo un ricordo, impossibilitato a trovare nella realtà un referente concreto. Nel nulla dei sensi, l'unico a funzionare sarebbe la vista. I vostri occhi schizzerebbero nelle orbite con una rapidità allucinante, stimolati a rendere al massimo per compensare l'assenza del resto. E coglierebbero questo strano spettacolo, trasmettendo al cervello immagini e sensazioni splendide e terribili al tempo stesso.

Ecco, immaginate tutto questo. Ognuno fermo nel luogo e nell'attimo in cui hanno avuto inizio il torpore e il silenzio, capace solo di osservare, pensare, riflettere e soffrire, perché l'uomo privo di azione e di contatto è come una rosa nascosta che nessuno può guardare.

Ma è davvero quello che desiderate? Serve tutto ciò per placare le ansie e la stanchezza, per avere consapevolezza di se stessi e capire le proprie emozioni? Per condividere un'idea anche stupida con la prima persona che si ha a tiro? Per far esplodere ordigni inesplosi, soffocati dentro voi stessi per paura del baccano che farebbero? Per sentire il sangue che scorre nelle proprie vene, il cuore che batte all'impazzata e lasciarsi affascinare dal creato?

Non credo proprio. Piuttosto, pensate al mondo col sorriso, senza che gli effetti dello scorrere del tempo e dell'evoluzione dell'uomo possano anche solo sfiorare la vostra idea di felicità.

Che è universale, e supera i confini dell'esistenza. Soprattutto quando si forma guardando negli occhi la persona che si ama.

venerdì 3 febbraio 2012

Neve.

La neve mi circonda. È soffice, bianca, come la panna montata. Ricopre ogni cosa, avvolgendola in un manto candido che consola. Ed è un tutt’uno col cielo. Bianco anche lui, ma meno soffice, adesso che non ci sono le nuvole.

Vorrei gettarmi lì, in quel chiarore lattiginoso, come un bambino fa con la sabbia della riva del mare, lasciando impronte e segni qua e là, frutto dell’istante che guida il mio corpo al posto della mente, ancora incantata per tutta questa neve.

E poi fissare ciò che ho intorno. Immaginando di avere una tavolozza in mano e tutto il tempo necessario per ridipingere il paesaggio come mi pare. Un foglio bianco da reinventare. Come facevo da bambino, appunto. Disegnando a tinte assurde persone e cose. E ricevendo comunque complimenti per non essere uscito fuori dai bordi.

Poi penso ai fiocchi che ci hanno sorpreso quella sera. Quando il freddo e il vento gelido non ci impedivano di lasciare in tasca i guanti e tenerci ugualmente per mano. Per sentire il calore del sangue che scorreva impetuoso, nonostante tutto. E ricordarci che anche da svegli si può essere felici, senza dover attendere i sogni.

Poi, all’improvviso, tutto si è fermato ed è arrivata lei, la neve. Che è scesa uniforme e ci ha ricoperto pian piano. Creando un paesaggio di un solo colore, al solo fine di far risaltare i nostri corpi e le nostre immagini. Ma soprattutto i tuoi occhi e il tuo sorriso. Che sono incredibili e colorano il mondo.

Che di solito è nero, oggi bianco.

Ma che per me, guardandoti, è sempre un arcobaleno.