sabato 28 gennaio 2012

Gente che mastica.

La gente mastica dappertutto. In questo momento, davanti a me, sul treno, una signora, più vecchia che giovane, ma comunque vecchia, sta masticando rumorosamente il suo chewing-gum. Che noi, in Sicilia, chiamiamo "masticante", e non "masticata" (o "masticandura est", rispolverando il latino), come forse sarebbe più giusto.

C'è chi mastica a lezione. Mentre spiega, intendo. Alternando parole a rapidi colpi di molare, credendo di attirarsi così la simpatia del giovane uditorio, invece disgustato da quel misto di finzione e nozioni a casaccio, destinato a dissolversi in una bolla di sapone, anzi in un palloncino, di chewing-gum.

C'è chi mastica mentre corre. Sputando saliva e sudore, distrae l'acido lattico, che, rallentato dalla curiosità di un così strano fenomeno, ritarda la sua solitamente puntuale invasione dei muscoli in uso. I famosi "rallentamenti per curiosi", generati, questa volta, da un tamponamento a catena fra denti e chewing-gum.

C'è chi mastica per noia, per ingannare il tempo tra un nulla e un altro, senza sapere che, in realtà, è il tempo che sta ingannando lui. E chi mastica per stress o per rabbia, scaricando in un chewing-gum pensieri e dubbi, lacrime e botte, come un pugile che colpisce solo col para-denti colorato, sfogandosi contro quella massa informe che ha in bocca, con le mani legate dietro la schiena e l'unico avversario di fronte a sè, riflesso in uno specchio.

C'è chi mastica a bocca aperta, mostrando a tutti di che pasta è fatto, cioè di chewing-gum, che, una volta sputato, si rattrappisce e assume il colore della superficie su cui si poggia, di solito la strada. E chi mastica con la bocca chiusa, concentrato in un silenzio interiore che contrasta col rumore regolare del ruminare, che infatti è uno scioglilingua, se letto sovrappensiero.

Il fatto che l'intero pianeta, a conti fatti, mastichi di continuo, mi fa pensare a quanto sarebbe bello se tutti rispettassero l'elementare regola del galateo secondo cui non si parla con la bocca piena. Allora ci sarebbe silenzio, che invita alla riflessione. Un silenzio rotto solo da uno schiocco improvviso. Quello del mondo che, da buon palloncino di chewing-gum qual è, ad un certo punto si riempie troppo di aria e parole vuote, ed esplode.

giovedì 12 gennaio 2012

Riflessioni sui treni.

Ho scoperto di amare i treni. Infatti sono stato subito sottoposto a test psichiatrici dopo questa affermazione. Mi piace quell'odore di usato misto a ferro e polvere, che mi sale nel cervello e mi catapulta in un'epoca passata, quando fuorilegge a cavallo assalivano treni lentissimi quasi sempre carichi d'oro, sparando in aria per far paura, credo agli uccelli. Ecco, tutti, di solito, quando si trovano davanti all'unico reperto storico di tale evento, ossia un film western, guardano all'intera scena per vedere entro quando le poche guardie del treno capitoleranno. Io, invece, guardo al treno, indifeso e vittima sacrificale di turno. E penso a tutto ciò quando entro in un treno di oggi, sporco e polveroso come quello descritto. E con lo stesso buon odore. Considerazione che spiega quella lettera minatoria pervenutami qualche tempo fa a nome di un noto profumiere cittadino venuto a conoscenza per caso delle mie elucubrazioni da binario morto.

Mi piace vedere la gente che sale e che scende, ognuno con una propria vita e un proprio obiettivo, che di solito coincide col mio, ossia arrivare a destinazione. Però è bello immaginarne il mestiere, la famiglia, la derivazione sociale, l'hobby, se ha un cane, quante volte fa la cacca in una settimana e se quando si siede a tavola dice buon appetito. Insomma, ogni tanto mi fisso con qualcuno, solitamente per una strana somiglianza con un personaggio della tv, e provo a ricostruirne l'esistenza. Forse è per questo che nessuno ha mai attaccato bottone con me su un treno, come avviene di solito, più per mancanza di alternative valide che per altro (chi sale sul treno senza almeno un quotidiano è spacciato, non sa che fare e deve parlare con qualcuno, sennò impazzisce). Perché appunto sono invadente. Solo con lo sguardo, si intende. Ma tanto basta a distinguermi dal passeggero taciturno che guarda fuori, subito accalappiato dall'oratore di turno, incuriosito dai segreti e dai pensieri nascosti così abilmente dal malcapitato conviviale appena conosciuto. Che poi magari era un appassionato di botanica, rimasto colpito dalle eccezionali coltivazioni del paesaggio circostante e basta.

Il paesaggio fuori, in effetti. Veloce, immediato, trasformista. Alberi a cento all'ora, case che svaniscono all'improvviso, persone ferme in macchina nel traffico. Così imparano a non prendere i treni. I miei occhi fanno ovviamente fatica a stare dietro a tutto questo. Penso che sul treno, ancor più che sull'aereo - dal quale, se ci fate caso, si assiste allo scorrere del paesaggio che è di un lento esasperante - ecco, su quel mezzo sulle rotaie si apprezza davvero il tempo che passa e la Terra che gira. E il vomito del bambino accanto a te che ha provato a guardare fuori per più di tre secondi, dopo l'ennesima brioscina ingollata per ordine perentorio della madre.

E qui arriva il capitolo cibo. Su un treno si mangia di tutto. Dalla pasta al classico panino, dalle patatine al cioccolato. Verso l'ora di pranzo, una carrozza del treno diventa l'albero della cuccagna, la fiera gastronomica del paese, il paradiso degli obesi, la trattoria dei viaggiatori. Una goduria per la vista. E a volte anche per il palato, quando qualcuno ti offre un pasticcino apparso per magia assieme a tanti suoi fratellini colorati sul sedile accanto al tuo. Che si somma a tutto quello che hai già ingurgitato qualche ora prima, per un'improvvisa fame, che si è scatenata senza motivo appena seduto al tuo posto. E' impressionante come la fame sia inversamente proporzionale al moto. Poi bevi, tanto. E quindi devi pisciare. In un bagno che, in verità, rimane fra le pochissime cose, in questo pianeta, a non essere (ancora) patrimonio dell'Unesco.

E infine l'aria della carrozza del treno. Densa, afosa, vissuta, che piano piano ti appanna la vista, finché non riesci a vedere più i contorni dei tuoi compagni di viaggio, che diventano fantasmi ai tuoi occhi, seppur vestiti e non con un semplice lenzuolo bianco di sopra. Un pò come i personaggi dei libri, che ognuno crede di immaginare durante la lettura, ma poi, al confronto con l'immancabile film ispirato a quelle pagine innocenti, improvvisamente vengono dimenticati, non si ricordano più come prima. E si finisce per dubitare, in effetti, di averli pensati sul serio, con una faccia, un corpo, qualche difetto qua e là e le smorfie giuste al momento giusto.

Queste sono le mie riflessioni sui treni. Cioè fatte sui treni. Anche materialmente, intendo. Forse si spiega, allora, perché, quando scendo da quel mezzo senza ruote, antico e sicuro, artificiale ma perfettamente calato nella natura, cavo ma pieno, che unisce persone e luoghi, ecco, mi assale un pò di malinconia. Un pò come i fuorilegge facevano coi treni nel Far West.