giovedì 30 giugno 2011

Una storia (d'amore) semplice.

Quando capì che sarebbe stata lei la donna cui avrebbe dedicato il resto della propria vita, per un attimo ebbe uno sbandamento. Di meraviglia, perché troppe coincidenze l'avevano messa sulla sua strada. E, pur non credendo nel destino, lo ringraziò di cuore.

Le dedicò poesie e ogni singola parte del proprio corpo, fino agli occhi, che finirono per non vedere più nessun'altra.
Passarono le giornate e i loro incontri si fecero sempre più frequenti. Niente di trascendentale, ma a lui bastava la sua compagnia per essere felice. E che lei lo fosse anche. Una felicità riflessa, si potrebbe dire. Un sorriso (di lei) allo specchio (di lui). E immaginava che qualcosa sarebbe accaduta, prima o poi.

Quando i suoi occhi incrociavano quelli di lei - del colore dell'ambra di giorno e di tizzoni ardenti di notte - gli tornavano in mente, come attraverso uno schermo magico, alcuni episodi dell'infanzia. Come quando, ad esempio, davanti ad un passaggio a livello chiuso, sedeva sul seggiolino della bicicletta di suo padre e insieme aspettavano che passasse il treno, giocando ad indovinare da quale parte sarebbe arrivato. Oppure i rumori della cucina dopo pranzo, quando sua madre sparecchiava e lavava i piatti, che gli conciliavano il sonnellino obbligatorio del pomeriggio. Era, insomma, come respirare nel presente un profumo di vita passata, che, suscitandogli le sensazioni dei ricordi più belli, colorava ogni sua aspettativa per il futuro.
E perciò tutto continuava così. Piccoli gesti per enormi emozioni. Una catena di sentimenti che si spezzava per il fremito di libertà che lei emanava con ogni suo gesto.

Finché un giorno decise che era giunto il momento di passare un pò di tempo da solo con lei. E la invitò in un dato luogo ad una certa ora. Non c'era bisogno di mettersi in ghingheri. Si era convinto che bastasse se stesso. In fondo, era tutto già scritto e poi avevano capito, entrambi, quel che volevano veramente l'uno dall'altra. Portò con sè, però, un girasole. Cosicché il sole si distraesse col fiore e lasciasse solo allo sguardo di lui l'esclusiva del viso di lei.
Lei non si presentò. Nè quel giorno, né quello successivo, né quello dopo ancora. Lui però, col suo girasole in mano che appassiva piano piano, ogni giorno alla stessa ora era lì, in attesa di lei. Che non si fece viva, per giorni e giorni ancora.

Ma una bella mattina d'estate, diversamente da come accade di solito in queste storie di lunghe attese, amori impossibili e cuori spezzati, lei arrivò. Ma non era da sola. Era abbracciata a un uomo che sembrava le volesse bene. Lei rideva di cuore e, soprattutto, era felice. Autenticamente e spontaneamente felice.
Lui se ne accorse subito. E provò di nuovo quella felicità riflessa che aveva provato tante altre volte, in passato. Un calore che non gli fece sentire affatto la stanchezza e la malinconia di quei giorni tutti uguali. Quel brivido che solo lei era capace di trasmettergli. Portatrice di una bellezza assoluta che regalava gioia a chi le stava intorno. E capì che non c'era davvero niente di più importante che vederla sorridere. Allora, si alzò dalla panchina che fino a quel momento lo aveva ospitato, prese il girasole che ancora teneva con sè e lo gettò via.

Mentre se ne andava, decise di voltarsi un'ultima volta a guardarla e fu proprio in quel momento che un raggio di sole, che non era più distratto dal fiore, le illuminò il viso. Fu quella l'ultima fotografia di lei che i suoi occhi scattarono e che la sua mente, senza saperlo, avrebbe conservato per sempre.
Si girò di nuovo nella direzione opposta e sorridendo andò via.

martedì 28 giugno 2011

Una musica.

La musica dice tutto. E lo fa in modo schietto e senza troppi giri di parole. Va direttamente al cuore, così è sicura di non sbagliare. Ogni singola nota sprigiona un intero vocabolario di suoni, a seconda dell’intento di chi quella canzone l’ha scelta o la sta cantando.

Una musica da dedicare alla persona che si ama o che comunque, per un motivo o per un altro, ti ricorda quella persona. Perché avresti voluto dedicargliela prima o poi, ma non ne hai avuto mai la possibilità e forse mai la avrai. E resterà un aborto di sentimento.

Una musica da sussurrare al suo orecchio, per farla sentire importante. Un’esibizione riservata ad una sola spettatrice. Una melodia suonata con i polmoni e con l’anima. Ma sottovoce, per chiudere in un cerchio trasparente e leggero quell’istante in cui i vostri occhi si sono incrociati e hanno capito e il tuo respiro si è mischiato col suo. E conservare in quel gomitolo di note stonate quell’attimo. Per sempre.

Una musica che ha segnato momenti importanti della tua vita. Una festa con amici, una macchina in panne, un singolo episodio apparentemente insignificante che esplode in tutta la sua grandezza solo se lo ricordi anni dopo, una serata di eccessi oppure una notte di improvvisati giacigli in spiaggia a guardare le stelle.

Una musica di un viaggio in macchina. Guidando senza mani perché troppo impegnate a simulare un assolo di batteria. Oppure perché necessarie a completare la coreografia danzante inventata dai passeggeri di quel giorno indimenticabile. Che poi è solo grazie a quella musica che ricordi anche dove stavi andando.

Una musica che sa sempre quello che senti. Che si modella perfettamente sul tuo stato d’animo e forgia una corazza impenetrabile. Al cui interno nessuno saprà mai se ci sarà dolore o gioia. Vedranno solo una bocca che canta o fa finta di cantare, due mani che vanno a ritmo e forse qualche lacrima. E non ci capiranno nulla. E tu continuerai ad andare avanti, a procedere lungo la strada che stai percorrendo, stando attento alle macchine mentre la attraversi. E a nient’altro.

In questo momento sto suonando un vecchio pianoforte scordato, senza un piede, parzialmente sciolto dal sole e con i tasti bianchi e neri messi a casaccio. Viene fuori una musica meravigliosa. Che non potrò sussurrare a nessuno e che quindi ascolterò solo io. Perché sto cantando a voce troppo bassa. O forse perché non ho mai cantato veramente.

sabato 25 giugno 2011

Un abbraccio.

Perché devi limitarti? Mi disse una sera un vecchio amico. Una persona che, come me, ama la vita. Ma, a differenza mia, sa come amarla. Così mi disse, subito, senza pensarci su, come invece avrei fatto io al posto suo se la domanda me l'avesse posta lui, perdendomi in ragionamenti cervellotici e che avrebbero trovato una conclusione degna di questo nome solo dopo molti minuti di diluvio di parole. Era ovviamente quello che in cuor mio sapevo ma che rifiutavo di pensare, adducendo a me stesso patetiche giustificazioni e celando la verità dietro una maschera trasparente, che mi illudeva di dimenticare ma che in realtà mi faceva vedere tutto. Un pò come le nuvole che provano a nascondere il sole ma non ci riescono. Insomma, quest'amico aveva ragione. Ancora una volta. Per questo gli voglio bene e trovo in lui una saggezza e una intelligenza fuori dal comune, che nessun voto a scuola gli ha mai riconosciuto. In parole povere, lui con poche parole dice molte più parole di me con tante parole.

In effetti, che senso ha? Troppe domande generano troppi dubbi. E troppi dubbi frenano l'istinto, che la maggior parte delle volte è più razionale della mente che si professa tale. D'altronde, perché aggiungere altri ostacoli alla vita di tutti i giorni? E' come se a un semaforo verde restiamo comunque fermi ipotizzando un rosso che non c'è. Vuol dire attaccare ai propri piedi delle palle di piombo e lamentarsi di andare troppo piano e non riuscire a correre. Vogliamo forse autoconvincerci che la vera libertà è non averne? E che solo così la si apprezza veramente? Cazzate. La vera libertà è capire che certi limiti sono artificiali. E che ostacolano qualsiasi nostro movimento o tentativo di movimento. E in definitiva, la nostra felicità. Si dice che bisogna gettare il cuore oltre l'ostacolo. Beh, io a volte getterei la testa. E terrei il cuore.

Che poi, se ci pensate bene, le cose più belle sono inspiegabili. Provate a spiegare a qualcuno a parole (e senza gesti, sennò non vale) come si abbraccia una persona, ossia come si compie, a mio parere, il gesto più puro, polivalente e forte che c'è. Non ci riuscirete. E anche se ci pensate prima, per prepararvi la risposta e smentirmi, vi confonderete su quale braccio va su e quale va giù e dove vanno le braccia della persona abbracciata e le vostre teste come andranno messe, di fianco o di sbieco e il collo, ritto o piegato. Allora scapperete ad abbracciare la prima persona che vi capita per cercare di memorizzare il tutto. Ma, a parte il fatto che questo discorso ha senso solo se si parla di un abbraccio vero e spontaneo, comunque dimenticherete subito la dinamica e sarete punto e daccapo. Garantito. Ma non preoccupatevi: è normalissimo.

Tutto questo perché la razionalità non può spiegare tutto. Mentre il sentimento, invece, ha tutte le risposte. Si tratta solo di avere le orecchie giuste per ascoltarlo. Avvicinandosi quanto basta per abbracciarlo.

Più o meno così:

Non mancano parole né la punteggiatura è sbagliata. Ve l'avevo detto che non si può spiegare un abbraccio.

lunedì 20 giugno 2011

La libertà, ovvero camminare a piedi nudi per strada.

Una volta chiesi a un’amica quale fosse per lei il simbolo della libertà. Non ricordo quale fu la sua risposta. Credo “viaggiare”. In realtà, poco mi importava. Non per cattiveria o menefreghismo, bensì perché la domanda, inconsciamente, l’avevo posta a me stesso e volevo condividere la mia risposta con qualcun altro. Forse non la feci nemmeno finire di rispondere, perché a mia volta subito dissi: “Per me la libertà è camminare a piedi nudi per strada”. E tuttora lo penso fermamente. Pensateci: da un lato, togliere le scarpe e usare i lacci solo per legarle tra loro e portarle in spalla, liberandosi, a ben guardare, dei l(eg)acci della quotidianità che, bloccandoli in un involucro di materiale vario, vincolano i nostri piedi, soffocandone l’istinto esploratore; dall’altro, usare le strade (asfaltate o no, ovviamente ove possibile) o qualsiasi altra superficie, al posto delle macchine o dei normali utenti meccanici (non solo in quanto forniti di motore) che le popolano ogni giorno. Deviando dai sensi di marcia obbligatori, per legge o per convenzione sociale. È probabilmente la cosa più semplice che si possa fare, ma è proprio lì che sta il trucco, a mio parere.

Perciò: la libertà, ovvero la capacità di apprezzare le cose semplici e trarne giovamento. Senza chiedere il perché di come ciò avvenga. O comunque, smettendo di chiederselo. In fondo, tutte le domande le abbiamo esaurite da bambini: quella sequela infinita di “perché-perché-perché” per ogni fatto che ci sembrava strano (e quindi una novità, non essendo in grado di classificare quella stranezza in senso positivo o negativo) ci ha reso onniscienti senza saperlo. Perché, quando i destinatari del nostro incessante domandare (di solito familiari) non ci davano più risposte, ciò non era dovuto al fatto che li avessimo scocciati con la nostra curiosità insistente senza capo né coda, ma al semplice motivo per cui, in effetti, era lì che finivano le risposte. Non ce n’erano più. E quindi intervenivano l’istinto e l’immaginazione di ognuno di noi. E quella sensazione che piano piano cresceva e ci rendeva sicuri che avessimo noi la risposta certa a quelle domande residue. E quella risposta suonava più o meno in questo modo: “E’ così, punto e basta”, con tanto di braccia conserte e ironica rassegnazione. A quel punto, abbandonavamo i nostri dubbi esistenziali e ci dedicavamo a qualcos’altro.

E allora: la libertà, ovvero non avere più domande, ma solo tante risposte. Il che non vuol dire che bisogna accontentarsi di ciò che c’è o di quel che ci è dato ogni giorno. Piuttosto, significa trasformare le inevitabili domande che ci vengono in mente ogni istante – giacché siamo esseri umani pensanti e ci viene naturale – in immediate risposte. Che a loro volta genereranno altre domande. E così via, come ci accadeva, appunto, da bambini. Lì però il segreto per spezzare questo circolo vizioso l’avevamo capito. Si trattava di apprezzare le cose per come erano, ossia semplici e meravigliose al tempo stesso, a causa della loro natura contraddittoria da ossimoro, un tutt'uno di piccolezza e straordinarietà. E difatti la bellezza sta proprio nelle piccole cose. Che da bambini potevamo vedere e capire subito, al volo, ringraziando “Quello che si prega a messa” per la loro esistenza e sfruttandone la forza ispiratrice per costruirci un futuro fatto di piccoli passi. Mentre adesso, che ci alziamo la mattina e ci addormentiamo la sera a braccetto con la razionalità, che siamo diventati troppo alti e non guardiamo più verso il basso nel tentativo di scorgere le piccole cose (o comunque, male che vada, in un gesto di umiltà), quel segreto l’abbiamo dimenticato. Nella migliore delle ipotesi è offuscato e ne intravediamo solo i contorni. Ammesso che la forma sia quella giusta. E rischiamo di impazzire nella ricerca, contemporaneamente, dell’uno (il segreto) e delle altre (le risposte).

Dunque: la libertà, ovvero tornare bambini per non impazzire. E quindi, dare sfogo agli istinti più semplici, sabotare i freni della mente e di quelle che crediamo essere “brutte figure”, dire tutto quello che di bello ci viene in mente alla persona che amiamo, interrompere una monotona passeggiata per improvvisare un balletto, ridere quando se ne avverte la necessità, dire “sì” quando si pensava di dire “no” e viceversa. E rassegnarsi con un sorriso al fatto che ad alcuni “perché” non c’è risposta. E una volta raggiunta questa consapevolezza, correre a perdifiato su una spiaggia o su una strada. Stando attenti a non farsi male. Perché, senza essercene resi conto, staremo correndo a piedi nudi.

lunedì 13 giugno 2011

I 57 punti (percentuali) del Quorum.

1. Tutti quelli che hanno votato.
2. Tutti quello che hanno detto SI.
3. Tutti quelli che hanno detto NO. Ma l'hanno detto.
4. Tutti quelli che si sono astenuti. Ma che, tuttavia, continuano a parlare di referendum.
5. La mobilitazione su Facebook.
6. Greenpeace contro il nucleare allo stadio Olimpico, durante la finale di Coppa Italia.
7. Le manifestazioni e i concerti pro SI.
8. I giovani che ci hanno veramente creduto. Finalmente, dopo troppi anni.
9. Il volantinaggio garbato e discreto.
10. Il passaparola efficace.
11. I dibattiti sul referendum ad ogni angolo.
12. L’interesse del mondo per gli italiani. Per una volta non a causa dei privilegi di uno, ma dei diritti di tutti.
13. Il blog "Maltempo si spera" su Spinoza.it.
14. I video e gli spot comici. E quelli seri.
15. I meteo che non hanno previsto questo vento di cambiamento.
16. Minzolini che, ubbidiente, la domenica va a mare. Ma viene punto sui genitali da una medusa.
17. Tutti quelli che per prima cosa, la domenica, sono andati a votare. Pure prima di fare colazione.
18. Tutti coloro che domenica sono andati a mare. E poi a votare.
19. Tutti coloro che invece sono andati a votare lunedì. Com’era loro diritto.
20. Tutti quelli che non sono andati a votare sabato. Nonostante i "precisi" comunicati dei Tg.
21. I presidenti di seggio che ricordavano di non sovrapporre le schede.
22. La lezione sui servizi pubblici locali alla SSPL.
23. Chi si è battuto per votare fuori sede.
24. La ragazza accanto a me sul treno che è scesa da Firenze per incontrarsi a Lamezia Terme con la sorella che arrivava dalla Spagna. Per poi recarsi insieme in macchina a Catanzaro a votare.
25. Le prime percentuali di voto. Le terze di sempre.
26. Venire a conoscenza delle prime percentuali di voto con mezzi di fortuna sul treno.
27. L’arancino sulla nave che mi ha nutrito e permesso di dirigermi subito al seggio appena giunto in terra natia.
28. ”Hai votato?”, che diventa la prima domanda tra amici.
29. Il “battiQuorum” da “crepaQuorum”.
30. Maroni che non sa che "al Quorum non si comanda".
31. La resa di Berlusconi in anticipo.
32. Berlusconi che, dopo lo “spoglio”, fa cilecca con una prostituta. “A cosa pensavi, tesoro?”.
33. Rientrare dopo troppo tempo sul sito del Ministero dell'Interno.
34. Il pulsante "aggiorna" sul sito del Ministero dell'Interno e su quello di "Repubblica".
35. La scaramanzia che tiene a freno l’euforia.
36. La diretta su La7. La televisione pubblica.
37. Sant'Agata del Bianco, in provincia di Reggio Calabria: il primo Comune a consegnare i risultati completi dello scrutinio referendario.
38. L'esultanza crescente. Prima timorosa poi esplosa.
39. Il “vaffanQuorum” diffuso e liberatorio.
40. Il raggiungimento ormai certo del Quorum.
41. Il fatidico 57%.
42. La commovente inversione di tendenza rispetto agli ultimi disastrosi referendum abrogativi.
43. Il voto degli italiani all’estero. Una lezione gratuita di educazione civica tenuta da circa 3 milioni di docenti.
44. I SI SI SI SI con cui si raggiunge l’orgasmo abrogativo.
45. Le maniche arrotolate della camicia di Bersani che adesso "fanno figo".
46. Travaglio che non sa da dove cominciare.
47. La Bindi che, guardandola meglio, è davvero un bel donnino. Nel confronto televisivo con La Russa.
48. La Lega che si dichiara stufa di prendere sberle. Tutto sta ad abituarcisi.
49. L’energia e Berlusconi che condividono l’aggettivo “rinnovabile”.
50. La fissione dell’atomo che torna nei libri di fisica nucleare. Dopo esser passata, per un po’, in quelli di ingegneria e di medicina.
51. Spegnere la luce e alzare la serranda per risparmiare energia.
52. Il legittimo godimento.
53. Berlusconi che risponderà a delle domande. Non di Vespa.
54. I brindisi a base di acqua.
55. La voglia di altri referendum.
56. La voglia di cambiare.
57. Fratelli d'Italia, l’Italia s’è desta.

Note dell’autore:
-Queste, in sintesi, le dichiarazioni di Berlusconi dopo il risultato del referendum: "Il quorum dimostra la volontà dei cittadini. Bisogna prenderne atto. Bisogna dire addio al nucleare. Bisogna migliorare la ricerca sulle energie alternative". Ha scoperto l'acqua calda. Anch'essa pubblica.
-Questo post tiene conto, naturalmente, anche del voto degli italiani all'estero, a dispetto delle percentuali indicate sul sito del Viminale e a prescindere dell'esito della decisione della Cassazione in merito.
-Per scrivere alcuni punti mi sono ispirato a post apparsi qua e là sul web. Per scrivere tutti gli altri punti, invece, mi è bastato rileggere le percentuali di voto, così da trarne ispirazione sull’onda dell’entusiasmo.

"Grazie di Quorum" per la pazienza che avete avuto nel leggerli tutti e 57.

mercoledì 8 giugno 2011

L'altra faccia del referendum.

Credevo di aver già detto tutto sull'argomento referendum. Eppure mi sono accorto che manca ancora qualcosa. Nel mio blog e in molta gente.

Accanto all'entusiasmo ed alla fiducia nel voto dei prossimi domenica e lunedì, infatti, striscia, subdolo e velenoso, il serpente dei cinici e dei disillusi illusi di esserlo. Ho letto da qualche parte che il cinismo è l'armatura dei disperati che non sanno di esserlo (credo fosse Saviano). Ecco, ciò si sposa perfettamente con il concetto di disillusi precedentemente espresso, riferibile a quelle persone che hanno deciso di non votare perché "tanto il quorum non si raggiungerà", perché "non avete idea di quanto costi un referendum, con la crisi che c'è", perché "è tutta una strategia per far cadere il Governo", perché "nessuno veramente sa per cosa sta votando". Mi ero promesso di non esprimermi in merito, ma sento il dovere di farlo, poiché quella che era soltanto una voce, in realtà, assume sempre più i connotati di un coro. Stonato, a dir la verità, ma sempre un coro.

Ora, queste persone non fanno altro che nascondersi dietro la suddetta armatura del cinismo, di una disillusione che, in realtà, è pura illusione. Chi rinuncia allo strumento del voto referendario non fa altro che dimostrarsi vittima del sistema di ombre, menefreghismo, scetticismo, egoismo, disinteresse per la cosa pubblica, che l'attuale classe politica che ci governa usa da sempre come strumento per narcotizzare i cittadini (compresi i propri elettori), assordandoli con proclami senza capo né coda e distraendoli con teatrali messe in scena, attraverso le quali si ostenta un benessere collettivo che, di solito, viene prontamente smentito dai fatti della quotidianità. Uno slogan potrebbe essere: "Ognuno si faccia i fatti suoi, che al resto pensiamo noi". In questo sta la disperazione. Una sorta di conseguenza naturale di tali fatti. Che si trasforma in amore per il proprio orticello e disamore per tutto ciò che lo circonda. Vuol dire zappare in modo indefesso sempre la stessa zolla, invidiando quella del vicino, soffrendo la fame, ma non potendo farci nulla perché niente è più bello di quella zolla. Così ci hanno detto. E così io dico.

Ecco, è questo il problema. Ciò che noto in questa gente è la progressiva e inesorabile morte della coscienza collettiva, a seguito della tortura del senso civico, del soffocamento del diritto di partecipare alle decisioni che riguardano la comunità - essendo intaccati addirittura i principi costituzionali (questi sconosciuti) - e, perché no, dello stupro dell'etica, sotto il cui vessillo ogni cittadino dovrebbe marciare, stante il macabro e pietoso spettacolo che ultimamente viene messo in scena dai governanti.

Insomma, queste persone credono di aver maturato una decisione consapevole, scegliendo di non andare a votare, quando, invece, essa è solo frutto di un'ipnosi che, per fortuna, pare non attecchire sulla maggioranza, anche se, per dirlo, bisognerà attendere l'esito della due giorni di voto. In termini di quorum, naturalmente. Perché vorrebbe dire che ha votato anche chi era contrario. Scegliendo di esprimersi, come è giusto che sia, e dicendo di no.

Allora vorrà dire che è stata trovata la parola magica che ha spezzato l'incantesimo. Che questa gente si è accorta che, appunto, la disillusione che ottundeva loro il cervello era solo un'illusione. Di un mago molto potente, in verità. Che però, ormai, è buono solo a raccontare barzellette.

domenica 5 giugno 2011

Se qualcuno è contrario parli ora o taccia per sempre.

Nelle ultime settimane la parola più letta, ascoltata, disegnata, ripetuta, è uno dei due monosillabi più famosi della storia della lingua italiana: il SI. L'altro, il gemello, quello solitamente cattivo, è ovviamente il NO. Si parla di referendum, volontà popolare, acqua, centrali nucleari (e quindi di Giappone) e legittimi impedimenti a farsi processare (un pò come le proibizioni di madri, spose e medici curanti che impedivano a Fantozzi e colleghi di partecipare alla partita di calcio dell'azienda). Insomma, argomenti decisamente eterogenei, ma sottoposti al voto cittadino nello stesso momento, con la stessa scheda e la stessa matita. Per la serie: cosa ci fanno una San Pellegrino, un atomo e un legittimo delinquente in una cabina elettorale? Barzelletta o ennesima sfida per MacGyver? La bellezza dei referendum.

Per completare degnamente la faccenda, spruzzandoci sopra un pò di pepe, il cittadino non dimentichi che per dire SI deve sbarrare NO e per dire NO deve sbarrare SI. D'altronde si è detto che sono monosillabi gemelli, il che porta molto spesso a confonderli tra loro. Si assomigliano così tanto. Resta inalterata, invece, la modalità di espressione del voto di astensione, se così si può dire. Nonostante i tentativi degli organizzatori di stravolgere pure quello, ad esempio obbligando l'astenuto a presentarsi comunque al seggio e fare una pernacchia agli scrutinatori mentre appallottola la scheda elettorale e fa canestro nel cestino con le farfalle della solita scuola elementare, per poi andarsene ridendo a crepapelle (ma la Lega ha opposto il copyright vantato sulla suddetta pernacchia, in quanto fonema principale del vocabolario del Carroccio). Oppure di prendere il foglio con i quesiti referendari, farne un aeroplanino e lanciarlo in direzione dei rappresentanti di seggio, simulando il rumore del motore con la bocca. Subito scartata, invece, l'ipotesi di creare un origami random col foglio di cui sopra, in quanto il richiamo al Giappone avrebbe condizionato il voto sul nucleare (avete visto che si finisce sempre a parlare del Giappone??).

Si diceva del SI. "Vuoi tu prendere come legittima sposa...?" Ecco, in questa situazione non è possibile confondere il SI col NO, né dire l'uno per intendere l'altro. Si deve dare una risposta, anzi "la" risposta che tutti si aspettano, genitori, parenti, suoceri e soprattutto lei, la sposa. Ora, un referendum non è un matrimonio. Ognuno è libero di esprimere la propria opinione, senza temere la reazione di nessuno. E ci mancherebbe pure. Ma non è questo il punto. Come non lo è nemmeno la problematica su quanto sia opportuno sottoporre alla gente quesiti troppo tecnici oppure su quale sia la posizione di quel partito o di quel politico in merito. No. Io penso che le due cose - matrimonio e referendum - abbiano in comune un aspetto a monte, ossia il momento in cui il prete di turno, prima di dichiarare la coppia marito e moglie, pronuncia la famosa frase: "Se qualcuno è contrario parli ora o taccia per sempre!". Quella frase che ognuno di noi (da mero invitato alla celebrazione, ovviamente) ogni volta ascolta con un misto di stupore e ironia, chiedendosi come possa mai accadere che qualcuno in chiesa si alzi all'improvviso e dica la sua su presunti ostacoli all'unione dei due nubendi, come un Don Rodrigo dei poveri o l'amico ubriaco dello sposo nei film americani di quart'ordine. Temendo, inoltre, per l'imminente cena-buffet, unico vero motivo del sacrificio di quella giornata campale in giacca e cravatta.

Beh, ecco, anche per il referendum ciò che conta è poter parlare. Non importa se per dire SI o per dire NO. Ma l'importante è dirlo. Ossia, andare a votare. Esprimere la propria opinione. Metterla nero su bianco. Per farsi sentire. O, altrimenti, tacere per sempre. Perché è giusto che sia così, se si sceglie di non sfruttare la possibilità che un referendum concede al cittadino. Perché lo dice la Costituzione che la sovranità appartiene al popolo, che, è vero, quando ha dovuto scegliere ha scelto la Repubblica, ma solo perché non voleva altri sovrani oltre a sè, almeno sulla carta. Nella cabina elettorale ognuno è re per un momento. Come tutti gli altri. Perché è questa la magia della democrazia e dei referendum: condividere un regno con milioni di persone, tutte, almeno per due giorni, uguali tra loro.

Non so come andrà a finire questo referendum. L'importante è che, una volta invitati, come accade ai matrimoni, ci si rechi alla funzione il giorno stabilito. E' anche una questione di educazione. E, sempre come ai matrimoni, certo suonerebbe proprio male sentir dire NO. Perché quasi tutti, in fondo in fondo, desiderano che venga detto il fatidico SI. Cosicché, alla fine di tutto, per festeggiare, si possa tirare il riso. Addosso agli sposi e in faccia a chi so io.

E vissero tutti felici e contenti.