lunedì 30 maggio 2011

L'Italia mancina.

L'Italia con la mano sinistra. La mano sbagliata, per i più. La mano con cui ogni destrorso ha, almeno una volta nella propria vita, cercato di scrivere il proprio nome, riuscendo a malapena a impugnare la penna e disegnando di conseguenza scarabocchi incomprensibili. Lo Stivale, per forza di cose, resta geograficamente inclinato verso destra, sebbene però, da quel lato, il tacco sporgente dello stesso sia in buone mani. Di un mancino, ovviamente, che a destra ha solo l'orecchino.

Il bello del voto sta nel fatto che puoi votare con entrambe le mani e sono sicuro che, stavolta, tutti i destrorsi col cervello mancino abbiano usato apposta l'altra mano per tracciare quella fatidica "ics". E' molto più facile che scrivere il proprio nome, avranno pensato, ed è una goduria. D'altronde, la "ics" è la firma degli analfabeti. Che sia anche il simbolo del voto democratico lascia pensare. Io ci ho pensato infatti, e sono giunto alla conclusione che questo accostamento spieghi alla perfezione i risultati elettorali italiani degli ultimi anni. E perché no, la "ics" traduce in un simbolo anche i capisaldi della strategia politica di chi ancora ci governa: la "ics" delle schedine calcistiche, la "ics" dei film a luci rosse e la "ics" delle croci della chiesa. E, appunto, la "ics" degli ignoranti. Che appongono la "ics" per votare.

Anche gli italiani dei grossi comuni, che si erano finora ingozzati con la mano destra del pastone buttato nel trogolo dal porcaio, alto in piedi quanto loro che erano a quattro zampe, pasciuti al solo fine di essere usati come piatto forte per fare bella figura con gli ospiti, hanno voluto provare il brivido di usare la mano sinistra. Di cambiare mano, per una volta. Di tornare bambini e mettersi alla prova. Perché è troppo facile vincere con la propria mano, soprattutto quando l'uso dell'altra è proibito. Tranne se fai il giudice, così dicono. E poi, mica siamo tutti tennisti, con un braccio più sviluppato dell'altro. E' bene rinforzare anche il sinistro, per metterlo al pari. Del resto, se ci pensate, avete mai visto una statua greca con le braccia di diversa grandezza? No, appunto. Non per niente la democrazia è nata in Grecia.

La verità è che forse ci siamo stancati. E che, eccezion fatta per chi è mancino da sempre, gran parte dei destrorsi ha smesso di guardare solo da un lato, chiudendo un cerchio piccolo piccolo che al mezzo ha solo le briciole che assicurano il domani, ma non il futuro. E quando finisce la musica, c'è sempre una sedia in meno. Ora i destrorsi, tali solo per la mano con cui tengono la penna (non per quella con cui si fanno il segno della croce, che è sempre la destra, anche per i mancini), hanno deciso di guardare pure dall'altro lato. Basta girotondi e cerchi concentrici, solo una lunga catena di mani. Perché per stringere la mano destra dell'altro, non occorre trovarsi per forza di fronte a lui e ricambiare con la propria destra. E' sufficiente stargli accanto, stringendo la sua destra con la propria sinistra, cosicché anche lui, in quella strana posizione, si veda costretto a usare la mano mancina. Scoprendo, con grande sorpresa, di averne una.

E finalmente la gente capì quanto è bello stringere la mano di una persona che si trova al proprio fianco, come due innamorati che intrecciano le loro dita (mancine e destrorse) e nel contempo guardano il mondo intorno a loro, e non come due sfidanti che si guardano negli occhi per capire chi ha più paura, ignorando, di fatto, la bellezza di tutto il resto.

domenica 29 maggio 2011

Se non puoi.

Se non puoi tacere, parla
se non puoi parlare, scrivi
se non puoi scrivere, ricorda
se non puoi ricordare, osserva
se non puoi osservare, evita
se non puoi evitare, buttati
se non puoi buttarti, spostati
se non puoi spostarti, adeguati
se non puoi adeguarti, cambia
se non puoi cambiare, distraiti
se non puoi distrarti, approfondisci
se non puoi approfondire, sopporta
se non puoi sopportare, ascolta
se non puoi ascoltare, fingi
se non puoi fingere, confessa
se non puoi confessare, abbandona
se non puoi abbandonare, comprendi
se non puoi comprendere, improvvisa
se non puoi improvvisare, copia
se non puoi copiare, prova
se non puoi provare, spera
se non puoi sperare, sogna
se non puoi sognare, credi
se non puoi credere, stupisciti
se non puoi stupirti, sorridi
se non puoi sorridere, concentrati
se non puoi concentrarti, pensa.

Se non puoi pensare, non sei vivo.
Se sei vivo, ma non pensi, allora ami.

giovedì 26 maggio 2011

Nel mezzo di un mezzo a mezzo servizio.

Nel mezzo di un mezzo a mezzo servizio,
ammesso che te stesso stai messo come un fesso e sei compresso,
a un passo dal collasso,
nella ressa che ti stressa,
col rumore del motore e il fetore del sudore,
non è mai l'ultima goccia per chi è ignaro della doccia,
alza le braccia e così va a caccia
di prede, tramortite da un bel pezzo dall'olezzo che fa ribrezzo,
stai schiacciato come una sardina piccolina e in scatolina,
becchi i vecchi secchi secchi che si vogliono sedere
e ti incolli a grassi molli con i loro girocolli e le pelurie da polli,
e ogni tanto, come un santo che si fa vanto del suo canto,
ecco l'aria condizionata che da su viene sputata,
ti riprendi per un momento mentre il bus va troppo lento e per poco non mi pento
di non esser andato a piedi e ora lo vedi che manco ti siedi, e cedi
alla lotta contro il caldo che è una botta,
un pò anche piove e il bus come un bove sembra che non si muove,
"pare addirittura che non sia partito", dice la Scaltrito,
"per favore, non mi tengo, fra un pochino forse svengo",
"siamo seri", dice Ruggeri, "era molto peggio ieri",
poi ci guarda sogghignando, "e vabbè, stavo scherzando",
e mentre la gente, che ancora sale, ci spinge e ci fa male, dal suo posto non si schioda lo Sturiale,
ritto, fisso e disumano, dalla tolda non si muove il capitano,
e con l'autobus stipato rischiamo di uscire dall'altro lato,
ma siamo arrivati finalmente e scendiamo con la gente,
ci chiediamo quale sia la strategia per raggiungere la via,
testuggini e arieti di ogni sorta, l'importante è giungere alla porta,
ma non c'è problema senza soluzione, anche se è quella fuori dal copione,
e troviamo la risposta nella massa che ci sposta,
come una valanga o una frana non lo so, è risucchiato dalla folla anche Gengarò!

lunedì 23 maggio 2011

24. Attimi.

Un anno per ogni ora del giorno. Dal prossimo, passo all'indomani. 24 suona bene: è quel "quattro" che rafforza la pronuncia del numero, lo rende importante e serio, forse un pò troppo. Forse non fa per me. Forse la giostra del tempo gira troppo velocemente e io non ci voglio salire. Preferisco rimanere al tiro al bersaglio, dove decido io quante freccette tirare e quante tenerne in tasca, anche se pungono. Purtroppo, però, non mi accorgo che sto pensando a tutto questo seduto su un cavallino, preceduto da una mini carrozza e seguito da un'automobilina. La giostra è un gioco per tutti, grandi e piccini, nel senso che tutti ci devono giocare.

Penso anche a questo, stamattina, perché, come ogni mattina del giorno del mio compleanno, mi sono svegliato prestissimo e quindi ho (più) tempo (del solito) per lanciare i miei pensieri a folle velocità nell'autostrada della mia mente. Da quando ho memoria dei miei compleanni è sempre andata così e sono certo che mi capitava anche da bambino. Sicuro mi svegliavo nella mia stanzetta e mi mettevo a frignare alle prime luci del mattino per avere un pò di considerazione. Per la "gioia" dei miei genitori che, assonnati e confusi dal risveglio traumatico, trovavano subito la lucidità per perdonarmi con un sorriso e calmarmi. Mentre mio fratello dormiva, come se niente fosse. E' sempre stato più grande di me, nonostante l'età. Non che ora non abbia pensato di mettermi a frignare; diciamo però che mi sono evoluto, perciò non scrivo più lacrime e piagnistei ma emetto parole su un foglio virtuale. I verbi non sono sbagliati, perché il concetto di fondo, per me, è identico.

La vita è fatta di attimi. Nel senso che, per accorgersi di questo gioco ipnotico quotidiano in cui, tra l'ilarità generale, siamo stati coinvolti dal Mago dei maghi, ogni giorno bisogna fermarsi un attimo. Per godersi le sensazioni di quel momento. E orientare i propri pensieri, che si fanno ingolosire dall'autostrada di cui sopra, gareggiando in modo selvaggio e senza regole, e convogliarli in quella direzione. Ecco, uno di questi attimi è proprio il risveglio la mattina del mio compleanno. E' complicato descrivere una sensazione, soprattutto quando davvero dura pochissimo, forse nemmeno un istante. Quanto ci mettono le telecamere degli occhi ad accendersi e il satellite del cervello a diffondere le immagini. Ma è proprio quell'attimo che adoro, quel momento di semi-incoscienza in cui sei più fragile di un foglio di carta bruciato ma ancora integro, che basta un soffio d'aria per ridurlo in centinaia di coriandoli neri, stavolta, però, condito dalla certezza che non si tratta di un giorno o di un momento qualsiasi. Un pò come la mattina di Natale, per intenderci. O la mattina dopo un esame, quando realizzi che, per l'appunto, è la mattina dopo l'esame e non quella prima. O ancora quando avverti l'amicizia di un amico o di un'amica da uno sguardo. O quando guardi la donna di cui sei innamorato, mentre si avvicina a te ma ancora non ti ha visto. Non trovo le parole adatte, del resto una sensazione si avverte e basta; se la si potesse sempre descrivere a parole non sarebbe più tale. Sarebbe scontata, comune, stereotipata, ci farebbero subito libri e magari anche un film.

Il bello di non poter descrivere una sensazione sta nel fatto che uno la prova e la tiene per sè, convinto dell'originalità del proprio pensiero e della sua conseguente immortalità. In realtà, però, è proprio l'illusione dell'unicità a renderci tutti uguali. E tutti umani, senza vergogna. Siamo costretti a recitare, ad assumere pose e ad imparare gestualità e rituali per stare al passo. A volte ci forziamo pure e ce lo imponiamo, violentando i nostri desideri e le nostre inclinazioni. Ma in questo grande teatrino, dove tutti, volente o nolente, hanno una parte (e di solito è quella sbagliata), c'è ancora spazio per l'improvvisazione, necessaria per disfarsi del canovaccio che ci hanno dato all'ingresso e far esplodere qualcosa dal proprio petto in faccia al regista ed allo sceneggiatore. Come un conato di vita che non possiamo trattenere. Un orgasmo di emozioni e stati d'animo che dà fuoco all'intero teatro, scoprendo, dietro le quinte, un panorama che ognuno di noi ignorava, anche se dietro l'angolo. E l'improvvisazione è figlia di quegli attimi di cui dicevo. Tanto forti quanto impercettibili. Come la mattina del mio compleanno. E perché no, anche come i giorni a seguire.

Di più non riesco a dire, davvero. Non saprei trovare altre parole per descrivere quest'attimo e tutti quelli che gli assomigliano. Però posso dirvi che, senza volerlo, stamattina mi sono svegliato sorridendo. Perché è vero che 24 ore fanno un giorno. Ma 24 attimi fanno una vita.

Grazie a tutti. Per ogni attimo.

sabato 14 maggio 2011

Dieci motivi non comuni per dire No al ponte sullo Stretto di Messina.

1. Anche la natura è restia ad unire la Sicilia alla Calabria: la fa avvicinare sì e no di qualche millimetro ogni anno, poi cambia idea e la allontana di nuovo, spostandola verso l'Africa. Insomma, fa un pò di teatrino, tanto per guadagnarsi lo stipendio. Anche perché dalla Regia le hanno detto di ricordarsi di avere a che fare con un'isola.

2. Quando torno a casa voglio sentire per prima cosa il profumo del mare. E quando vado via, voglio che sia l'ultima. Di gas di scarico mi bastano quelli che respiro in città.

3. Soffro di vertigini e odio la megalomania.

4. Un ponte istiga ai suicidi molto più di una nave.

5. Non credo sia opportuna una continuazione della "Salerno-Reggio Calabria". Metaforicamente parlando.

6. Nessun barbone potrà mai dormire sotto questo ponte. A meno che non sia fornito di uno scafandro.

7. Voglio continuare a fare il bagno al "Pilone", decantare ai forestieri la bellezza del panorama ("Ma ti rendi conto del posto in cui stai sguazzando??") e raccontare di quando Sicilia e Calabria erano unite dai tralicci dell'elettricità tra un pilone e l'altro. E che ora non lo sono più.

8. Per disintossicarmi dal caos cittadino, dai clacson e dal baccano umano di tutti i giorni, ogni tanto ho bisogno di passeggiare sulla spiaggia, a Torre Faro. Per ascoltare solo il respiro del vento e il rumore delle correnti che si scontrano. Nient'altro.

9. L'ombra del ponte ostacolerebbe il lavoro della vedetta sulle feluche nella pesca del pesce spada.

10. Amo la mia terra. Perché è circondata dal mare, dal vento e dal sole. Un puntino nel cerchio del mondo. Senza nessuna retta che lo congiunga agli altri.

martedì 10 maggio 2011

Quello che i cartoni animati non dicono.

Il dilemma di Robin Hood: "Rubo ai ricchi per dare ai poveri. Ma poi i poveri diventano ricchi e allora devo rubare loro per dare ai ricchi che intanto sono diventati poveri. Solo che così i ricchi ritornano ricchi e i poveri ridiventano poveri e si ripropone il problema. La prossima volta mi faccio i cazzi miei."

Semola (Artù), La spada nella roccia: "Me ne potevo stare tranquillo a fare lo scudiero e a cazzeggiare con Mago Merlino e col suo gufo parlante, e invece, dato che sono cleptomane, ho visto quella spada e non ho saputo resistere dall'estrarla da quella stupida roccia. Ora ho sul groppone un intero regno, pestilenze e carestie, guerre e ciarlatani, mi devo vestire come un giullare, hanno già tentato di farmi fuori tre volte e mi hanno pure cambiato nome. In più, ho come la sensazione che quella Ginevra mi stia nascondendo qualcosa."

Biancaneve: "Il principe azzurro soffriva di alitosi. E non dico altro."

Cenerentola: "Alla faccia di tutte le malelingue: non è detto che chi parla con i topi, viaggia nelle zucche e vede fate in cucina sia destinato al manicomio. Come vedete, ho addirittura sposato un principe."

Pinocchio: "Meglio burattino con certi poteri che bambino vero. Nella fiaba vi facevano vedere solo il naso."

Simba, Il re leone: "Fosse dipeso da me, me ne sarei stato tutta la vita a farmi le canne nella savana con Timon e Pumbaa."

Mowgli, Il libro della giungla: "Pure un bambino si rende conto che gli animali della giungla è meglio averceli amici che nemici. E vabbè che io mi sentivo più lupo che bambino, ma perché ho seguito quella mocciosa tutta curve e mi sono unito agli uomini? Baloo non mi parla più, Bagheera mi vuole mangiare e Kaa ha provato a mordermi già dieci volte. E' proprio vero che tira di più un pelo di.. che un carro di buoi."

Shrek: "Vi dico solo che, prima di tutta questa storia, passavo le mie giornate a rotolarmi nel fango, a spaventare la gente, a vestirmi sempre con le stesse cose (quando decidevo di vestirmi) e a mangiare quello che capitava. Poi, giudicate voi."

Aladdin: "Io volevo solo un amico con cui scambiare due chiacchiere la sera, che non fosse una scimmia pulciosa e pasticciona. Ho trovato un genio esaurito e megalomane che mi ha messo in testa manie di grandezza. Quanto a Jasmine, beh, concordo con l'ultima frase di Mowgli."

Bambi: "Mi avevano rassicurato sul fatto che avrei interpretato un cartone animato per bambini. Invece, ho traumatizzato generazioni su generazioni. Ho licenziato il mio manager Tamburino, che tra le altre cose era pure cocainomane. Ma non sono più rientrato nel giro."

Pongo e Peggy, La carica dei 101: "Ok, abbiamo sbagliato a non usare precauzioni, ma cazzo 99 cuccioli tutti in una volta! Avevamo organizzato tutto alla perfezione con Crudelia Demon per levarceli dalle scatole e tornare a goderci la vita di coppia. Ma poi la produzione ci ha costretti a quella farsa del salvataggio da genitori provetti. Voi non lo sapete, ma a telecamere spente li abbiamo abbandonati tutti e 99 in un autogrill."

Duchessa, Gli aristogatti: "Quel puttaniere di Romeo mi ha fatto più corna di quelle di Bambi quando è diventato cervo, senza offesa."

Peter Pan: "Se non fosse stato per quella Trilly, che era dappertutto come il prezzemolo, più fastidiosa di una mosca e più impicciona di una vecchia comare, io a quest'ora a Wendy me la facevo sicuro."

Insomma, dobbiamo smetterla di pensare che nei cartoni animati "tutti vissero felici e contenti", facendo paragoni impietosi con la vita di tutti i giorni. In realtà, anche i personaggi dei cartoni avevano i loro problemi, le loro ansie e i loro tormenti. La differenza è che non potevano venirne fuori con scelte proprie, ma solo per volontà dell'autore della fiaba o del film. Perciò, rimbocchiamoci le maniche, non diventiamo cartoni animati nelle mani di sceneggiatori, burattini diretti dal puparo di turno, zucche senza vita o disegni in bianco e nero nell'arcobaleno di tutti i giorni. Trasformiamoci in esseri umani e apriamo gli occhi, non per piangerci addosso, ma per trovare la soluzione. Senza fare affidamento su fate e maghi, che non esistono. Purtroppo.

venerdì 6 maggio 2011

Ode al Mare.

Leggo un libro che parla di oceani e ascolto quella che è stata definita la Marina Commedia. Provo a rimediare all'assenza del Mare senza accorgermene. Ma l'immagine virtuale che si forma nella mia mente non assomiglia nemmeno un pò a quella reale. A quella che vedo dal balcone di casa mia.

Di mattina presto, alle prime luci del giorno, quando, nel mio peregrinare insonne per la casa, arrivo in salone e lo guardo placido e calmo, dorato dai raggi del sole, pulito dalla brezza dello Stretto, al che mi rilasso e torno a letto, riscoprendomi capace di addormentarmi in orari da gufo.

Di pomeriggio, quando il traffico di navi lo satura e lo snatura, ma Lui indomito resiste e fa passare tutti, si indigna schiumando al loro passaggio, cerca con tutte le forze di mantenere un equilibrio, di conservare intatta la superficie piatta e orizzontale, tagliata come una lama dalle chiglie, ferite da cui fuoriesce sangue di schiuma, che subito si rimarginano.

Di sera e di notte, quando finalmente il sole lo abbandona e Lui torna al suo colore naturale, il nero, col quale nasconde i pesci alle lampàre, predatori scaltri e ingannatori che riproducono la luce che non c'è, pallide imitazioni del sole, scivolano sull'acqua che è inchiostro, qualcuno vi intinge la punta di un pennino e disegna in cielo le stelle, attento a fare un cerchio perfetto mentre ricalca il contorno della luna.

Quando è agitato, sconvolto dal vento di tramontana che lo vuole gelare, dalla pioggia che lo riempie di acqua dolce che si fa strada nel sale, ogni goccia vuole essere l'ultima che faccia traboccare il vaso che lo contiene, dalla sabbia dello scirocco che lo vuole soffocare e confondere, ma Lui li lascia passare, come fa con le navi, superiore e superbo dall'alto delle sue onde, si piega, anzi si increspa, ma non si spezza, perché pioggia e vento prima o poi finiscono, Lui no, e di questo ne è consapevole.

Perché solo camminando in riva al Mare riesco a pensare davvero, respirandone il profumo salmastro e vivo, che sprigiona dall'acqua, dal fondale e dai pesci, che nessuna boccetta riuscirà mai a imprigionare e riprodurre, e nessuno scarico riuscirà mai ad uccidere, microscosmo perfetto di riva e brezza marina, superficie soffice di sabbia bagnata, le mie caviglie vi affondano e così rallento il passo, la natura ha inventato la morbidezza del bagnasciuga per far durare quel momento il più a lungo possibile, l'acqua bagna i piedi, carezza tremula di una donna, legame nodoso col Mare, che mi scorta silenzioso, risponde alle mie domande e dissipa i miei dubbi, perché il Mare ha sempre una risposta. Allora mi fermo un attimo, mi volto verso di Lui, lo ringrazio chiudendo gli occhi e abbassando il capo in segno di rispetto, e riparto.

Ci si chiede sempre cosa ci sia oltre il Mare, quando non si riesce a vedere le terre al di là dell'orizzonte. L'uomo, senza confini, impazzisce. Per me la risposta è semplice e mi dà sicurezza. Oltre il Mare c'è ancora Mare.

mercoledì 4 maggio 2011

Domanda(ndo) e risposta(ndo).

"Quale di questi modi del verbo non ha nè singolare nè plurale? Imperativo, congiuntivo, condizionale, gerundio".

Leggo questa domanda in tv e credo di essermi sintonizzato su un canale per bambini. Mi illudo, anzi, di rivedere finalmente Tonio Cartonio con quei suoi abiti sgargianti e quel sorriso pazzoide, a dispetto delle malelingue che lo vogliono ormai smarrito nel tunnel della droga. E invece mi trovo al cospetto di uno dei quiz show che vanno in onda sulle reti nazionali ogni tardo pomeriggio, prima del Tg. La domanda, per inciso, vale 20.000 euro. Cioè, è come se per la strada un tizio mi ferma, mi chiede come mi chiamo, controlla sulla carta d'identità se ho risposto esattamente e per premiarmi mi regala 200 euro. Che culo, aggiungerei. Poteva andarmi peggio. Poteva chiedermi il Comune di residenza, ad esempio. O addirittura i segni particolari. Ma comunque. Tornando alla domanda del quiz, la concorrente, alla vista del "domandone", strabuzza gli occhi e, fingendo concentrazione (che già di per sè è una cosa penosa, se si considera la domanda), afferma di non ricordarsi bene la risposta. Gelo in camera mia. Che forse la risposta è "gerundio", ma non è sicura. Talmente gelo che appaiono un pinguino e un orso polare, che si coricano accanto a me nel letto e restano intirizziti persino loro. Che quasi quasi dice "gerundio", però non vorrebbe sbagliare. Come se le avessero chiesto quanti fiumi ci sono in Sicilia o cos'è un clavicembalo. Alla fine si "butta"(non dal terzo piano o a mare con una palla di piombo al piede, come sarebbe più opportuno) e risponde "gerundio". Naturalmente, questo premio nobel in potenza (nel senso che il premio le sarà consegnato nel capoluogo lucano, dopo di che verrà abbandonata nell'entroterra in balìa dei briganti e dei lupi), insomma questo genio della lampada (che si manifesta anche senza strofinio, basta accendere la tv) arriva in finale. E, a dimostrazione che c'è una giustizia divina anche in queste cose, al gioco finale perde il bottino sanguinoso che ha raccolto durante la magnifica cavalcata che nel giro di un paio d'ore l'aveva elevata dall'essere un quisque de "concorrentis" al rivestire i panni della vincitrice della puntata. Panni sporchi, che però non si lavano in casa (della concorrente), come il proverbio insegna, magari con l'aggiunta dell'indice alzato in segno di ammonimento. Dobbiamo lavarli noi, quando per sbaglio capitiamo il quiz in tv e assistiamo a questi spettacoli pietosi. Illudendoci di vedere qualcosa che ci faccia "staccare il cervello" per qualche minuto, la sera. Senza sapere che, in realtà, chi stiamo guardando lo ha fatto prima di noi. O forse il cervello non l'ha mai acceso.

Che voi possiate perdonare il mio sfogo. Io non potrei farlo. Che io possa cambiare, anche solo un pochino. Anzi, aiutatemi voi. Aiutami tu, lettore che stai leggendo queste parole. Parole che non dovrebbero essere così dure, essendo per lo più di rassegnazione e sconforto. E io, essendo rassegnato e sconfortato, le scrivo.
"Quale di questi modi del verbo non ha nè singolare nè plurale? Imperativo, congiuntivo, condizionale, gerundio".